30 ans déjà...

Trent'anni fa, nella notte fra il 2 e il 3 maggio 1987, ci lasciava Dalida.


Per commemorarla vi regaliamo la traduzione dell'articolo di Jérémy Patinier apparso a gennaio su TÊTU, il principale magazine francese di cultura e attualità LGBT.

Ma perché i gay amano così tanto Dalida?

Cosa c’è di così speciale in questa diva da farci sognare tanto? Molti pensano che Dalida sia apprezzato dai gay per il suo glam e le sue paillettes. Ed è vero. Ma sarebbe molto riduttivo accontentarsi di questa risposta.

Sono 30 anni che se n’è andata. Ma è ancora la regina: quest’anno è uscito in tutto il mondo il film di Lisa Azuelos e il Palais Galliera a Parigi le ha dedicato un’immensa retrospettiva... Un'icona universale che contava e conta ancora fra il suo pubblico una grande percentuale di gay.

Dalida, la donna impegnata

Per essere un'icona gay, devi prima essere una “frociara”. Sorella di Orlando, il suo manager che non ha mai fatto mistero della sua omosessualità; amica di Pascal Sevran (che per lei ha scritto «Il venait d’avoir 18 ans» che in italiano diventò semplicemente “18 anni”) o di Bertrand Delanoë (sindaco di Parigi dal 2001 al 2014, pungalato nel 2002 per motivazioni omofobe): Dalida era circondata da gay. Ha cantato due canzoni che citano l'omosessualità: «Pour ne pas vivre seul» (del 1972, ma la citazione è stata leggermente edulcorata nella versione intaliana, “Per non vivere soli”) e «Depuis qu’il vient chez nous» (del 1979). Nel 1982 ha anche sostenuto RadioFréquence Gay. Impegnata politicamente e socialmente, non ha esitato nel gennaio 1980, in un telegiornale, a interrogare un senatore sullo stato di avanzamento di un eventuale progetto di legge sulla depenalizzazione dell'omosessualità. Legge che farà passare Mitterrand, di cui era una cara amica.

Dalida, la "Drama Queen"

Prima di essere la regina della disco e del suo look alla Las Vegas, Dalida ha mobilitato milioni di persone durante le sue tournée. Fasciata in un semplice abito bianco, sapeva interpretare titoli sobri e impegnati come «Avec letemps» o «Je suis malade»
Da quell’istante i gay sono stati soggiogati dal suo carisma, la sua femminilità di maniera e il suo destino tormentato.

Lo psicoanalista Joseph Agostini tratta la questione in "Dalida sur le divan": «Dalida è la prima icona, quella che ha aperto la strada a tutte le altre. Si è donata al suo pubblico come un simbolo, fino alla fine, assumendosi fino all'eccesso il suo status di star. Ha coltivato l’estetica del suicidio dicendo che se ne sarebbe andata quando si sarebbe sentita stanca della vita. Ed è come se avesse pianificato il suo destino, recitando la sua vita come un'opera d'arte. In questo senso, è unica. Interessarsi a Dalida su un piano psicoanalitico vuol dire occuparsi di androginia, fascino della morte e della bellezza, della verità delle canzoni popolari. Vuol dire interessarsi di una donna che, in trent'anni di carriera, è stata interprete impegnata, showgirl, cantante orientale, attrice».

Dalida è l’avere tutto per poter essere felice e il finire sola, senza aver trovato il vero amore della propria vita, il constatare che all'età di 54 anni la solitudine può ancora perseguitarci... un’ossessione particolare per ogni gay (perché è più difficile costruire un rapporto a due quando l’omofobia sociale nega costantemente questo diritto, per tutta la vita).

Secondo Joseph Agostini:
«I gay hanno eletto Dalida! L’hanno inconsciamente scelta per essere LA Donna. Ha una voce profonda, bassa ma morbida e carezzevole allo stesso tempo. Ha un fisico sensuale ma allo stesso tempo forte, a momenti quasi maschile. Lei è la mater dolorosa che soffre per la morte dei suoi amanti e la diva nei suoi abiti sbrilluccicanti. È tutto lì, in potenza, per affascinare questi uomini ‘particolari’ che assaporano la sua presenza come si gusta un'opera d'arte».

Dalida, la nostra amica

Per i gay identificarsi
con Dalida è facile; è spesso imitata anche nei cabaret dei ‘trasformisti’. È l'archetipo della drag-queen. Tragica, diva, glamour a volontà: i gay amano identificarsi con le persone che, forgiate dalle difficoltà, a volte fino alla morte, sanno sublimare le loro ferite per creare e diventare icone amate, poiché molti gay hanno sperimentato lo stigma sociale, perfino a scuola. Mylène Farmer, Madonna e Kylie Minogue sono venerate, glamour, femminili, tenebrose, innamorate e infelici, sensibili, fatali, etc.

Esse inviano agli omosessuali un’immagine di perfezione e di fragilità, di coraggio e anche di stile. Sono l’esatto contrario della persecuzione, della disistima e della mancanza di fiducia in sé.
Le nostre icone sono le nostre bambole catartiche, le nostre madri e le nostre sorelle, mamme e puttane, modelli, come vorremmo essere (a volte) e che vorremmo anche come amiche.

Dalida, più di ogni altra, è ancora l'icona gay per eccellenza.